RECENSIONI – MEETINGS

SoundScapeS, 5 marzo 2008
Dodici composizioni scritte nell’arco di oltre 20 anni da Rinesi che ha affidato a Michele Fedrigotti (suo vero e proprio alter ego in questa produzione) le orchestrazioni ottimamente interpretate dall’Orchestra di Roma.

Non c’è nota in questo lavoro ove non si concretizzino i tanti amori musicali di Rinesi, musicista la cui curiosità lo ha spesso spinto ad approfondire musiche e strumenti assai lontani, e ci avvolge inebriante il profumo di spezie esotiche e di mari lontani ad insaporire brani tutti molto interessanti quali l’iniziale “Mirra” (vertiginoso volo a planare sul Mediterraneo, brano-crocevia di mondi vicinissimi in musica e lontanissimi per altri versi), “Am tam tes” (che sembra fare tesoro degli insegnamenti del sottovalutatissimo Wim Mertens degli ultimi 15 anni alla ricerca di un equilibrio avanzato tra radici minimaliste e musica classica affacciandosi inoltre su sonorità extra-europee a realizzare uno dei brani più interessanti del post-minimalismo da anni a questa parte), “Suite della favorita” (dall’incedere maestoso con piano e orchestra a ricordare certe atmosfere del miglior Cacciapaglia), “Monsoon” (non distante dal Ravi Shankar più leggero e contaminato), “11 passi di danza” (etno-minimal-barocco ?), “La quete” (omaggio neanche tanto nascosto al pianismo di Satie), “Ayan” (conturbante vortice di flauti arabi in un roteare sufi intriso di gioia).
In quasi tutti i brani compaiono strumenti dai nomi misteriosi quali la kanjira, il riq, la doholla, il bendir, il daf, il krakeb, il surmandal e chi più ne ha più ne metta così come ospiti di lusso che impreziosiscono questo lavoro con le loro ben note qualità (impossibile non segnalare alcune figure storiche della ricerca italiana quali Roberto Laneri, Paolo Modugno, Nicola Alesini, Ares Tavolazzi, fino allo stesso Fedrigotti come sempre mirabile al pianoforte).

Bellissima quanto anomala “Resurrexi” dove si dispiega alta la voce di Rinesi, figlia degli insegnamenti di un maestro assoluto del canto indiano quale Pandit Pran Nath, a realizzare un brano il cui unico precedente/paragone che mi viene in mente è lo storico, e in parte dimenticato, “Te deum” di Juri Camisasca rispetto al quale troviamo forse un minore pathos spirituale ma con una eleganza nei toni e nei modi dalla bellezza soffocante.

In un paese civile i media (e non la sola Radio3) avrebbero l’obbligo morale di far conoscere musiche come queste.


EvolutionMusic.it, Aprile 2008

È un progetto crossover tra i generi classico, world music e popolare, che si propone di creare un ponte tra oriente e occidente con 11 brani strumentali e 1 cantato, per orchestra, pianoforte e strumenti etnici. La globalizzazione può mostrare qui il suo volto migliore: il contatto con le altre culture svela il mistero dello sconosciuto e avvicina i popoli. E' da questi incontri che possono nascere nuova vita e nuove energie, e "Meetings" esprime proprio questa nuova realtà multi-culturale. Questo quarto album solista di Tito Rinesi è stato realizzato con la partecipazione dell'Orchestra di Roma (formata dai migliori solisti del Teatro dell'Opera di Roma) diretta da Michele Fedrigotti (pianista concertista, collaboratore di Franco Battiato e di Alice). Hanno partecipato anche numerosi altri musicisti: Ares Tavolazzi (contrabbasso), Carlo Cossu (violino e viola), Paolo Botti (viola), Paolo Innarella (flauto traverso), Roberto Laneri (clarinetto, clarinetto basso), Nicola Alesini (sax soprano), Andrea Piccioni (tamburello, kanjira, riq, zills, def, tar, doholla, zilli def, bendir), Paolo Modugno (daf, bendir, krakeb, zills), Desiree Infascelli (fisarmonica), Piero Grassini (mandolino), Siamak Guran (tambur persiano), Alex Romagnoli (cori), Michele Fedrigotti (pianoforte e clavicembalo), Tito Rinesi (composizione, bouzouki, surmandal, sampling & sequencing, cori, voce). Il disco è caratterizzato da un suono vibrante e originale, che scaturisce dal felice connubio tra gli strumenti del mondo classico (violini, violoncelli, pianoforte, oboe, corni etc.) e quelli dell'area jazz (clarinetto, sax soprano) ed etnica (bouzouki, fisarmonica, tamburi a cornice). Un'onda sinuosa e avvolgente che incanta fin dal primo ascolto e che permea ognuna delle 12 tracce di questo progetto
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MovimentiProg
"Intriso d’oriente e di misticismo, il nuovo splendido disco di un grande compositore.
Ammaliante, intenso, struggente. Il nuovo album di Tito Rinesi è un viaggio nelle regioni più recondite dello spirito, un atto di omaggio e di gratitudine, un incontro con culture diverse, con musiche lontane"

Art a part of cult(ure)
Resurrexi un antico brano in latino che immediatamente vibra oltre il suo testo ed il suo significato, sembra una porta attraverso la quale passare per raggiungere tutto quello che non abbiamo ancora conosciuto. Un brano che è un lasciapassare verso il sacro..."

Suono
“Di fronte a un schermo immaginario l’ascolto di Suite della favorita, Monsoon, Erzurum, Le braccia di Demetra, 11 passi di danza, Tabriz, il solo di piano di La quiete e Ribi regalano un viaggio sonoro di gran fascino”

Fra oriente e occidente 

Il polistrumentista, compositore e ricercatore di musica etnica assembla il suono vibrante e originale del progetto “Meetings” nato dall’interazione fra gli strumenti del mondo classico, l’area del jazz e la world music.

intervista di Sergio d’Alesio

Il compositore Tito Rinesi è un ricercatore e un interprete della musica etnica e popolare dei vari paesi del mondo virtuoso del bouzouki, del saz, del baglamas, della chitarra acustica, del pianoforte, delle tastiere e dell’elettronica. Nel ’68 suona la musica country e la west coast americana al Folkstudio di Roma. Nel 1972, dopo aver assistito a un concerto di Pandit Pran Nath (maestro di Terry Riley, LaMonte Young, Jon Hassell, Don Cherry e Lee Konitz), che segna una svolta decisiva nella sua direzione di ricerca, entra nel Living Music un gruppo multimediale ispirato ai poeti della Beat Generation e alla filosofia dell’India insieme a Francesco Giannattasio alle tabla, Pasquale Minieri al basso e Costantino Albini al sitar. Dal 1973 fa parte del gruppo acustico Dulcimer poi entra nel team di progressive rock SaintJust guidato dalla vocalist partenopea Jenny Sorrenti. Nel corso della sua carriera lavora per l’Associazione Italiana di Musicoterapia presso l’Ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà di Roma e frequenta i corsi di canto indiano khylal con Sangeeta Bandhyopaday Chatterjee e Mangala Tiwari e dhrupad con Amelia Cuni specializzandosi in musica indiana con Vijay Kichlu, in musica turca con Cinucen Tanrikorur, nel canto con gli armonici con David Hykes e nella musica elettronica con Luca Spagnoletti. Sotto l’aspetto vocale lavora con il Coro Sperimentale diretto da Alvin Curran, il Coro Barocco del Centro Italiano di Musica Antica e nel coro di canto armonico “Overtone Memories” di Roberto Laneri. L’intervista approfondisce il suo rapporto con la globalizzazione, la differenza fra la “piccola jihad” e la “grande jihad” e il riavvicinamento tra l’Oriente e l’Occidente stimolato dall’energia universale della musica.

Cosa rappresenta per lei la musica?

La musica è l’avanguardia della globalizzazione più sana. E’ veramente ciò che unisce gli artisti e i liberi pensatori d’ogni frangia culturale, politica e religiosa. La musica è una forma universale di energia che supera il significato delle parole.

Sotto un profilo squisitamente umanistico cosa intende per globalizzazione?

Il mondo occidentale ha sempre giudicato la globalizzazione come una profittevole realtà economica che sfrutta la forza-lavoro dei popoli sottosviluppati. Questa visione ricalca l’intera storia dell’umanità. Dai tempi dell’impero di Roma si globalizzava ogni cultura del mondo conosciuto a fini utilitaristici. Lo stesso si è verificato con la scoperta del nuovo mondo da parte dei conquistadores spagnoli, con la distruzione dei nativi americani, della cultura aborigena in Australia e degli indios in Sudamerica. Ci sono molti modi per aprire una finestra sul mondo. A mio avviso, il giusto approccio è quello di avere fiducia, di donare e di condividere le nostre esperienze con le altre popolazioni. L’occidente ha sempre cercato d’imporre il suo modo di vivere, non di capire il ricchissimo bagaglio culturale che le diverse etnie potevano donare. Bisogna porre attenzione a questi modelli di vita alternativi e differenti. C’è bisogno di un altro respiro. Imporre il proprio modello vuol dire avere paura d’incontrare altre religioni, altre culture e altre filosofie…

Per sua natura l’uomo è il guerriero dell’universo?

La guerra è una battaglia che devi vincere con te stesso. Io non sono islamico, ma esiste una sostanziale differenza fra la cosiddetta “piccola jihad” che riflette l’aspetto esteriore e la parte più superficiale della fede mussulmana e la “grande jihad” che identifica la lotta contro il proprio ego, l’autolimitazione e il darsi delle regole. La “grande jihad” è la vera essenza del Corano. Questo dualismo vale anche per noi occidentali che non siamo poi così dissimili. Il terrorismo internazionale riflette invece solo il pensiero della “piccola jihad” preso a modello dagli integralisti.

Come nasce il suo ultimo progetto?

Nei due mesi precedenti ho lavorato in stretto contatto con il pianista Michele Fedrigotti e abbiamo scritto insieme le parti orchestrali dell’album affidate all’Orchestra di Roma formata dai migliori solisti dell’Opera di Roma e dell’Accademia di S. Cecilia. Questa prima registrazione assemblata esclusivamente con strumenti del mondo classico costituisce la base e il metronomo ritmico di riferimento di ogni brano di Meetings in seguito arricchito da virtuosi musicisti dell’area del jazz e della world music. Per onorare e dare equilibrio all’incontro fra due mondi differenti, in sede di mixaggio ho bilanciato le frequenze sonore su due schermi di computer. Questa operazione, definita editaggio, è stata la fase più delicata della registrazione perché, attraverso tagli e nuovi arrangiamenti, ha donato armonia all’intero progetto.

In questo incontro fra oriente e occidente ha mai riflettuto sull’attuale tensione che vige fra gli Stati Uniti e l’Iran?

Oggi molti musicisti di Teheran preferiscono studiare all’estero senza rientrare mai più in patria. Ho sempre ammirato il lavoro dei giovani compositori dell’Iran che creano degli straordinari mosaici con un sano assemblaggio di musica classica e di suoni etnici. Attualmente l’Iran proibisce gli interscambi culturali e vigono restrizioni terribili sulla musica che nell’interpretazione degli integralisti è vista come un diavolo che attenua le difese morali del popolo.

Il progetto è distribuito anche all’estero?

Ho fatto un accordo con l’etichetta Felmay che viene distribuita dalla Egea in tutto il mondo. E’ il primo Cd che ho messo su iTunes in veste di download e sta funzionando anche in termini di popolarità. Ricevo mail dagli Stati Uniti e ordini dalla Germania e dal Sud Corea: un tempo impensabili…

Ci può parlare dell’ispirazione e dell’arrangiamento del brano “Suite della Favorita” ?

Il brano s’ispira a uno dei racconti de “Le Mille e Una Notte” dove Sherazade si propone al Sultano che, nel timore che il tradimento lo renda incapace di esercitare il potere, ogni notte sposa una donna vergine per ucciderla l’indomani. Il trucco di Sherazade è quello di ipnotizzare il Sultano con i suoi racconti, intessendo le parole durante la notte e scivolando nel silenzio durante il giorno, affinché la tensione e il desiderio di ascoltare le sue storie spinga il potente signore a risparmiarle la vita al sorgere di ogni alba. Musicalmente è nato nel 1986 come brano per solo pianoforte. Durante la collaborazione con Fedrigotti abbiamo riarrangiato questa melodia in un insieme di vari movimenti musicali affidati al suono del pianoforte e dell’orchestra. L’atmosfera della “Suite della Favorita” ha un sapore crossover che indugia fra le spezie dell’oriente e gli echi classici.

 

MEETINGS
(La Levantina/Egea)

“Pieno di echi e di suggestioni orientali, “Meetings” sembra proprio il commento di un “racconto di viaggio” di uno dei grandi autori del passato. Un disco molto riuscito dove le musiche sono arrangiate con sapienza, felici melodie e ritmi complessi. Cito per tutti “Resurrexi”. Un brano magnifico che segue la falsariga del raga indiano su un tempo di 7/4 e approda a una sacralità cristiana. Un solo peccato: è l’unico brano cantato.” La presentazione di Franco Battiato introduce il newager al nuovo progetto di Tito Rinesi che si propone di creare un ponte interattivo fra l’Oriente e l’Occidente.

Qui la globalizzazione mostra il suo volto migliore perché il contatto con le altre culture svela il mistero dello sconosciuto e avvicina i popoli. Da questi incontri nascono sinergie inesplorate e, in questo contesto, Meetings esprime perfettamente questa nuova realtà multiculturale. Il quarto album solista di Tito Rinesi contiene dodici brani per orchestra, pianoforte e strumenti etnici composti dall’artista, che accompagna anche alcuni brani con il bouzouki, la voce, il surmandal, e alcuni campionamenti elettronici. L’album sviluppa atmosfere e melodie classiche orchestrali di pianoforte, di archi e di fiati arricchite dalle sonorità world di strumenti etnici provenienti da ogni angolo del pianeta. Il disco è caratterizzato da un suono vibrante e originale che scaturisce dal felice connubio tra gli strumenti del mondo classico, dell’area jazz e degli strumenti etnici. Le registrazioni dirette dal pianista Michele Fedrigotti sono affidate all’Orchestra di Roma formata dai migliori solisti dell’Opera di Roma e dell’Accademia di S.Cecilia. L’interazione strumentale s’avvale anche di Ares Tavolazzi (contrabbasso), Carlo Cossu e Paolo Botti (violino e viola), Paolo Innarella (flauto traverso), Roberto Laneri (clarinetto basso, clarinetto), Nicola Alesini (sax soprano), Andrea Piccioni e Paolo Modugno (tamburello, kanjira, riq, zills, def, tar, doholla, zilli def e bendir), Desiree Infascelli (fisarmonica), Piero Grassini (mandolino) e Siamak Guran (strumento a corde persiano tambur). Di fronte a un schermo immaginario l’ascolto di “Suite della Favorita”, “Monsoon”, “Erzurum”, “Le Braccia di Demetra”, “11 Passi di Danza”, “Ribi”, “Tabriz”, il francesismo per solo piano de “La Quete” e il profumo dell’India (“Resurrexi”) regala un percorso sonoro di gran fascino.