Ed ecco
quindi l’incanto delle “Arabian nights“, una “Salomè” dalla danza vertiginosa e sensuale, una “Moonsoon” che profuma di doppia classicità (europea
ed indiana), una già nota, e bellissima, “Suite della
Favorita” che porta con sé gli aromi di quelle tante spezie che rendono
unico e speciale il Mediterraneo e le culture che vi si affacciano…
Tutta una
serie di brani che giocano tra l’inevitabile matrice europea dell’autore, la
sua curiosità verso l’Oriente (e non solo), la sua approfondita conoscenza di
culture lontane e questa presenza del pianoforte a determinarne la forma
dandogli un timbro di classica occidentalità che è uno degli aspetti originali
di questo lavoro (aspetto che molto deve, per la realizzazione di queste
specifiche sonorità, a Michele Fedrigotti, già forte presenza nel
precedente “Meetings“, che qui riveste
un doppio ruolo fondamentale sia per le eccellenti esecuzioni sia per la
qualità delle trascrizioni per pianoforte). È un’operazione probabilmente simile a quella che
fece, nella parte iniziale del secolo scorso, Thomas de Hartmann
trascrivendo per pianoforte (con orecchio inevitabilmente colto-occidentale)
le musiche che G.I.Gurdjieff eseguiva, musiche raccolte in giro per il
mondo e filtrate attraverso la complessa personalità di questo controverso
personaggio.
E non credo
sia un caso che le atmosfere evocate da alcuni brani (ancora “Salomè“, la struggente “Tiflis“,
uno dei brani più intensi del disco, la “Danza n.2“)
non siano affatto distanti dalle composizioni di Gurdjieff/De Hartmann,
così come non credo sia un caso che un brano come “Mirra”
sia stato pensato come parte della colonna sonora di “La tomba indiana“, kolossal muto del 1924,
anch’esso un film a metà tra Oriente e Occidente (ambientato in India,
sceneggiato da Fritz Lang).
Naturalmente
in questo disco abbiamo anche composizioni che meno risentono delle influenze
di altri paesi (Rinesi è compositore dalle influenze variegate e a 360 gradi).
E’ questo il caso di molte delle “Sei piccole danze“,
tra le quali troviamo le splendide “Danza n.3”
e “Danza n.5” (che, pur risalendo al 1989, non
sono lontane dai recenti ottimi lavori di Roberto Cacciapaglia), de “La quête” che sembra omaggiare Satie e certo
pianismo raffinato a cavallo tra ‘800 e ‘900, della delicatissima “Aurora” dalle magiche risonanze, come
scrive Rinesi stesso nelle note ai brani, che occhieggiano a quella musica
contemporanea meno ortodossa che ad esse ha dedicato tanti lavori (compreso il Battiato
del periodo Ricordi o certi lavori di Lamonte Young o di Charlemagne
Palestine), ma con una leggerezza e un’aria bucolica troppo spesso assente
da tanta sperimentazione.
Un lavoro che sembra proporsi come ponte/crocevia tra spazi e tempi solo apparentemente lontani.
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