RECENSIONI – VERSO LEVANTE

SoundScapeS, 7 agosto 2012
Il pianoforte è lo strumento principe dell’Occidente. Strumento dalle enormi possibilità, di grande originalità, dalle mille risonanze e dagli infiniti possibili suoni, capace di essere uno e molti allo stesso tempo.
Se ci si lascia andare con la fantasia e la memoria non sarà difficile immaginare come in quegli anni, anni di continue scoperte geografiche in cui tante persone si rivestivano dei panni di esploratore o in quelli, più modesti ma sempre poco frequenti, di viaggiatore, tanti uomini e donne tornassero da paesi lontani e dai nomi esotici carichi di ricordi per le cose incredibili che avevano visto, i cibi strani che avevano mangiato e, last but not least, le musiche aliene che avevano avuto la fortuna di ascoltare. Ed è facile immaginare questi viaggiatori occidentali sedersi al pianoforte della loro casa e provare a far risuonare per le orecchie dei presenti quelle strane melodie, quegli strani modi, ascoltati in terre lontane, e, ci scommetto, il risultato sarà stato quello di una musica ibrida, fondamentalmente legata alla cultura occidentale, ma con elementi di disturbo, di straniante bellezza, provenienti da lontano e da un altrove che allora si faceva fatica anche solo ad immaginare.
Tito Rinesi
, che da sempre è tra coloro che sviluppano ponti tra l’Europa e le altre tradizioni musicali con attenzione e cura assolute, nel riadattare i suoi brani al solo pianoforte sembra volerci calare nelle atmosfere che vi ho appena descritto. Tutti quei colori, quelle chiare presenze medio-orientali ed asiatiche che spesso riconosciamo nella sua musica, in alcuni dei brani che compongono questo interessante lavoro divengono qualcosa di molto simile al resoconto di un viaggio (il viaggio viene sempre raccontato con la lingua del viaggiatore, per quanto essa possa essersi contaminata con altre culture e altri linguaggi).

Ed ecco quindi l’incanto delle “Arabian nights“, una “Salomè” dalla danza vertiginosa e sensuale, una “Moonsoon” che profuma di doppia classicità (europea ed indiana), una già nota, e bellissima, “Suite della Favorita” che porta con sé gli aromi di quelle tante spezie che rendono unico e speciale il Mediterraneo e le culture che vi si affacciano…
Tutta una serie di brani che giocano tra l’inevitabile matrice europea dell’autore, la sua curiosità verso l’Oriente (e non solo), la sua approfondita conoscenza di culture lontane e questa presenza del pianoforte a determinarne la forma dandogli un timbro di classica occidentalità che è uno degli aspetti originali di questo lavoro (aspetto che molto deve, per la realizzazione di queste specifiche sonorità, a Michele Fedrigotti, già forte presenza nel precedente “Meetings“, che qui riveste un doppio ruolo fondamentale sia per le eccellenti esecuzioni sia per la qualità delle trascrizioni per pianoforte). È un’operazione probabilmente simile a quella che fece, nella parte iniziale del secolo scorso, Thomas de Hartmann trascrivendo per pianoforte (con orecchio inevitabilmente colto-occidentale) le musiche che G.I.Gurdjieff eseguiva, musiche raccolte in giro per il mondo e filtrate attraverso la complessa personalità di questo controverso personaggio.

E non credo sia un caso che le atmosfere evocate da alcuni brani (ancora “Salomè“, la struggente “Tiflis“, uno dei brani più intensi del disco, la “Danza n.2“) non siano affatto distanti dalle composizioni di Gurdjieff/De Hartmann, così come non credo sia un caso che un brano come “Mirra” sia stato pensato come parte della colonna sonora di “La tomba indiana“, kolossal muto del 1924, anch’esso un film a metà tra Oriente e Occidente (ambientato in India, sceneggiato da Fritz Lang).
Naturalmente in questo disco abbiamo anche composizioni che meno risentono delle influenze di altri paesi (Rinesi è compositore dalle influenze variegate e a 360 gradi). E’ questo il caso di molte delle “Sei piccole danze“, tra le quali troviamo le splendide “Danza n.3” e “Danza n.5” (che, pur risalendo al 1989, non sono lontane dai recenti ottimi lavori di Roberto Cacciapaglia), de “La quête” che sembra omaggiare Satie e certo pianismo raffinato a cavallo tra ‘800 e ‘900, della delicatissima “Aurora” dalle magiche risonanze, come scrive Rinesi stesso nelle note ai brani, che occhieggiano a quella musica contemporanea meno ortodossa che ad esse ha dedicato tanti lavori (compreso il Battiato del periodo Ricordi o certi lavori di Lamonte Young o di Charlemagne Palestine), ma con una leggerezza e un’aria bucolica troppo spesso assente da tanta sperimentazione.

Un lavoro che sembra proporsi come ponte/crocevia tra spazi e tempi solo apparentemente lontani.


JAM, Dicembre 2012 (Giordano Casiraghi)
Questo album di Tito Rinesi arriva dopo un lungo lavoro nella musica strumentale. Lui che ha fatto parte di alcuni gruppi pop della scena romana a inizio anni ’70 e che nel 1993 ha pubblicato “Il tempo è circolare”, ancora oggi uno degli esempi più interessanti di world music italiana. Rinesi ha sempre guardato a est per cogliere linfa creativa, Verso Levante, dunque. In questa occasione l’artista romano affida le sue composizioni, originariamente suonate con vari strumenti etnici, al solo pianoforte e alle sapienti mani del maestro Michele Fedrigotti. Ne deriva un lavoro di assoluto rigore, una delizia d’ascolto, specialmente per chi già conosceva le versioni originali. Straordinaria la partenza di Salomè, ma salta in evidenza la quinta traccia Tiflis, certamente riferita a Tbilisi, la città dove venne rappresentato uno spettacolo con danze e musiche di George Ivanovic Gurdjieff. Qui, come anche nelle successive Aurora e Mauve, si cercano approfondimenti, si misura lo scorrere del tempo, e il pianoforte conduce lungo percorsi inconsueti, incontaminati. E’ necessaria una certa predisposizione per un ascolto né frettoloso né superficiale: come risveglio, alle prime luci dell’alba, lo suggerirebbe il Gaber di L’illogica allegria.

Blogfoolk, 11 ottobre 2012 (Ciro De Rosa)
I più attempati ricorderanno il Tito Rinesi di inizio anni ’70, prima musicista d’avanguardia ispirato alla beat generation Living Music (con Francesco Giannattasio alle tabla!), poi chitarrista ne La casa del lago, seconda opera dei Saint Just, indimenticata band prog creata da Jenny Sorrenti. Da quei tempi, oltre alle frequentazioni nella musica barocca e nell’elettronica, nonché nell’attività di musicoterapeuta, il polistrumentista romano si è costruito un iter creativo e di ricerca decisamente rivolto ad Oriente, indirizzandosi verso strumenti a corda (bouzouki, baglama, saz), stili vocali indiani (khyal, dhrupad) e il canto armonico. Perpetuamente in transito, costruttore di ponti sonori, Rinesi è autore di colonne sonore per cinema, TV, radio e teatro. La sua carriera è costellata da numerosi CD che travalicando steccati, si muovono tra elettronica, ambient, minimalismo, composizioni di ossatura modale di ispirazione mediorientale e mediterranea. Nel suo recente album “Verso Levante”, la dimensione è quella del piano solo: Rinesi affida sedici sue composizioni, pagine scritte tra il 1989 e il 2011 per organici strumentali più ampi, al pianoforte a coda Steinway dell’ispirato Michele Fedrigotti, didatta, autore e direttore d’orchestra, con cui già ha collaborato in passato. In apertura si sprigiona l’eleganza danzante di “Salomé”. Acceso e arioso il fraseggio pianistico in “Monsoon”, tema influenzato dalla musicalità indiana, oscillante tra sequenze delicate e passaggi più robusti. Il lirismo laconico e riflessivo di “La quête” è latore di sapori bretoni e raffinatezza pianistica che occhieggia Satie. Composto per il film muto “La Tomba Indiana”, prodotto negli anni ’20 , “Mirra” ci riconduce pienamente dentro atmosfere mediorientali, facendo affiorare le suggestioni gurdjieffiane, peraltro ricorrenti in questo lavoro. Anche “Tiflis”, metafora di comunanza umana e della disponibilità a convivere delle tre principali religioni monoteistiche, echeggia le trascrizioni del mistico armeno realizzate da De Hartmann. Il brano cede il passo al fluire libero delle note carezzevoli di “Aurora”, centrata sugli effetti prodotti dal pedale di risonanza. È giocata sull’avvicendarsi di improvvisazione e scrittura l’introspettiva “Mauve”. Rotta sonora diritta verso oriente con “Suite della Favorita”, successione di movimenti di danza che “uniscono Palermo a Istanbul” – come scrive nelle note lo stesso compositore – cui seguono i tratteggi tenui delle brevi e lievi “Sei piccole danze”. Si passa poi agli ornati tasselli di “Lux oriens” e all’architettura onirica di “Arabian Nights”, la composizione più recente di Rinesi, che ci consegna un affascinante e benefico lavoro.